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La Mistica dell'Anima - Il Nettare della Rosa

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Dio, Teologia, Misticismo, Filosofia, Gnosi, Esoterismo.

mercoledì 25 dicembre 2013

LA SHEKINAH E METATRON di Renè Guenon










La «Shekinah» e «Metatron»  - Tratto da Il Re del Mondo di Renè Guenon


Vi sono spiriti timorosi, la cui capacità di comprendere è stranamente limitata da idee preconcette, i quali sono rimasti turbati dalla denominazione stessa di «Re del Mondo», che hanno subito avvicinato a quella del Princeps hujus mundi di cui si parla nel Vangelo. Tale assimilazione, ovviamente, è del tutto erronea e priva di fondamento; per accantonarla, potremmo limitarci a far osservare che il titolo di «Re del Mondo», in ebraico e in arabo, è di solito attribuito a Dio stesso[1].


Tuttavia, dato che ciò può dar luogo a qualche osservazione interessante, considereremo a questo proposito le teorie della Cabbala ebraica concernenti gli «intermediari celesti».

Tali teorie, per altro, hanno un rapporto estremamente diretto col tema principale del presente studio.


Gli «intermediari celesti» di cui si tratta sono la Shekinah e Metatron; diremo innanzitutto che, nel suo senso più generale, la Shekinah è la «presenza reale» della Divinità. Si noti che i passi della Scrittura dove ne è fatta menzione sono soprattutto quelli in cui si tratta dell’istituzione di un centro spirituale: la costruzione di un Tabernacolo, l’edificazione dei Templi di Salomone e di Zorobabel.


Un simile centro, costituito in condizioni definite secondo la regola, doveva essere di fatto il luogo della manifestazione divina, sempre rappresentata come «Luce»; è curioso osservare che l’espressione «luogo illuminatissimo e regolarissimo», conservata dalla Massoneria, sembra proprio essere un ricordo dell’antica scienza sacerdotale che presiedeva alla costruzione dei templi e che, del resto, non era peculiare degli Ebrei; torneremo più tardi su questo argomento.

Non è il caso che ci addentriamo nello sviluppo della teoria degli «influssi spirituali» (preferiamo questa espressione alla parola «benedizioni» per tradurre l’ebraico berakoth, tanto più che tale è il senso che ha conservato in arabo la parola barakah); ma, anche limitandosi a considerare le cose da questo solo punto di vista, sarebbe possibile spiegarsi le parole di Elias Levita che Vulliaud riporta nella sua opera La Kabbale juive: «I Maestri della Cabbala hanno a questo proposito grandi segreti».


La Shekinah si presenta sotto aspetti molteplici, tra cui due principali, l’uno interno, l’altro esterno; d’altra parte vi è nella tradizione cristiana una frase che indica nel modo più chiaro questi due aspetti: «Gloria in excelsis Deo, et in terra Pax hominibus bonæ voluntatis».


Le parole Gloria e Pax si riferiscono rispettivamente all’aspetto interno, in rapporto al Principio, e all’aspetto esterno, in rapporto al mondo manifestato; e, se intendiamo in questo senso tali parole, si può capire immediatamente perché siano pronunciate dagli Angeli (Malakim) per annunciare la nascita del «Dio con noi» oppure «in noi» (Emmanuel).


Per quanto riguarda il primo aspetto, si potrebbero anche ricordare le teorie dei teologi sulla «luce di gloria» nella quale e per mezzo della quale si opera la visione beatifica (in excelsis); quanto al secondo aspetto, ritroviamo qui la «Pace» alla quale alludevamo prima e che, nel suo significato esoterico, è indicata dappertutto come uno degli attributi fondamentali dei centri spirituali situati in questo mondo (in terra).


Del resto, il termine arabo Sakînah, che è evidentemente identico all’ebraico Shekinah, si traduce con «Grande Pace», che è l’equivalente della Pax Profunda dei Rosacroce; e così si potrebbe spiegare che cosa essi intendessero per «Tempio dello Spirito Santo», come pure si potrebbero interpretare in modo preciso i numerosi testi evangelici nei quali si parla della «Pace»[2], tanto più che «la tradizione segreta concernente la Shekinah avrebbe qualche rapporto con la luce del Messia».


E sarà poi accidentale che Vulliaud, nel fornire quest’ultima indicazione[3], dica che si tratta della tradizione «riservata a coloro che seguivano la via che porta al Pardes», cioè, come vedremo poi, al centro spirituale supremo?

Questo ci induce a fare un’altra osservazione: Vulliaud parla in seguito di un «mistero relativo al Giubileo»[4], il che si ricollega in certo senso all’idea di «Pace», e a questo proposito cita il seguente testo dello Zohar (III, 52 b): «Il fiume che esce dall’Eden porta il nome di Jobel», come pure il testo di Geremia (XVII, 8): «estenderà le sue radici verso il fiume», da cui risulta che «l’idea centrale del Giubileo è la restituzione di tutte le cose al loro stato primitivo».


Si tratta chiaramente di quel ritorno allo «stato primordiale» che tutte le tradizioni contemplano e sul quale noi abbiamo avuto occasione di soffermarci un po’ nel nostro studio L’Ésotérisme de Dante; e, se si aggiunge che «il ritorno di tutte le cose al loro stato primitivo segnerà l’era messianica», coloro che hanno letto quello studio potranno ricordarsi di quanto dicevamo sui rapporti del «Paradiso terrestre» e della «Gerusalemme celeste».

Del resto, a dire il vero, qui si tratta sempre, in fasi diverse della manifestazione ciclica, del Pardes, il centro di questo mondo, che il simbolismo tradizionale di tutti i popoli paragona al cuore, centro dell’essere e «residenza divina» (Brahma-pura nella dottrina indù), come il Tabernacolo che ne è l’immagine e che perciò è detto in ebraico mishkan o «abitacolo di Dio», parola la cui radice è la stessa di Shekinah.


Secondo un altro punto di vista, la Shekinah è la sintesi delle Sephiroth; ora, nell’albero sephirotico, la «colonna di destra» è il lato della Misericordia, e la «colonna di sinistra» è il lato del Rigore[5]; dobbiamo dunque ritrovare tali aspetti anche nella Shekinah e possiamo notare subito, per collegare questo a quanto precede, che, almeno sotto un certo rispetto, il Rigore si identifica con la Giustizia e la Misericordia con la Pace[6].


«Se l’uomo pecca e si allontana dalla Shekinah, cade in balia delle potenze (Sârim) che dipendono dal Rigore»[7] e allora la Shekinah è detta «mano di rigore», il che ricorda subito il noto simbolo della «mano di giustizia»; ma, all’opposto, «se l’uomo si avvicina alla Shekinah, si libera» e la Shekinah è la «mano destra» di Dio, come dire che la «mano di giustizia» diviene allora la «mano benedicente»[8].


Sono questi i misteri della «Casa di Giustizia» (Beith-Din), che ancora una volta è una designazione del centro spirituale supremo[9]; quasi non occorre far notare che i due lati ora esaminati sono quelli in cui si ripartiscono gli eletti e i dannati nelle rappresentazioni cristiane del «Giudizio Universale».


Si potrebbe anche fare un raffronto con le due vie che i Pitagorici raffigurano mediante la lettera Y e che il mito di Ercole fra la Virtù e il Vizio rappresentava in forma essoterica; con le due porte, celeste e infernale, che presso i Latini erano associate al simbolismo di Janus; con le due fasi cicliche, ascendente e discendente[10], che presso gli Indù similmente si collegano al simbolismo di Ganêsha[11].


Insomma, da tutto questo è facile capire che cosa significhino in verità espressioni come «retta intenzione», che troveremo in seguito, e «buona volontà» («Pax hominibus bonæ voluntatis», e coloro che conoscono un po’ i vari simboli di cui abbiamo parlato vedranno come non senza motivo la festa del Natale coincida con l’epoca del solstizio d’inverno), se si ha cura di tralasciare tutte le interpretazioni esteriori, filosofiche e morali, cui hanno dato luogo dagli Stoici fino a Kant.


«La Cabbala dà alla Shekinah un paredro che porta nomi identici ai suoi e che possiede, per conseguenza, i medesimi caratteri»[12] e naturalmente ha tanti aspetti diversi quanti ne ha la Shekinah stessa; il suo nome è Metatron, nome che equivale numericamente a quello di Shaddai[13], l’«Onnipotente» (che si dice essere il nome del Dio di Abramo).


L’etimologia della parola Metatron è molto incerta; fra le diverse ipotesi formulate al riguardo una delle più interessanti è quella che la fa derivare dal caldaico Mitra, che significa «pioggia» e che, per la sua radice, ha un certo rapporto con la «luce».


D’altra parte non bisogna credere che la somiglianza con il Mitra indù e zoroastriano costituisca una ragione sufficiente per ammettere che vi sia qui un prestito del Giudaismo da dottrine straniere, perché non è certo in questo modo affatto esteriore che vanno considerati i rapporti esistenti fra le varie tradizioni; e lo stesso va detto per quanto riguarda il ruolo attribuito alla pioggia in quasi tutte le tradizioni quale simbolo della discesa degli «influssi spirituali» dal Cielo sulla Terra.


A questo proposito, bisogna notare che la dottrina ebraica parla di una «rugiada di luce» che emana dall’«Albero della Vita» e per mezzo della quale deve operarsi la resurrezione dei morti; e parla anche di una «effusione di rugiada» che rappresenta l’influsso celeste che si comunica a tutti i mondi, il che ricorda singolarmente il simbolismo alchemico e rosacroce.


«Il termine Metatron comporta tutte le accezioni di guardiano, Signore, inviato, mediatore»; egli è «l’autore delle teofanie nel mondo sensibile»[14]; è l’«Angelo della Faccia» e anche il «Principe del Mondo» (Sâr ha-ôlam): quest’ultima designazione mostra che non ci siamo affatto allontanati dal nostro argomento.


Per applicare il simbolismo tradizionale già spiegato in precedenza, potremmo dire che, come il capo della gerarchia iniziatica è il «Polo terrestre», così Metatron è il «Polo celeste»; e l’uno si riflette nell’altro, essendo con esso in relazione diretta attraverso l’«Asse del Mondo».


«Il suo nome è Mikael, il Grande Sacerdote, che è olocausto e oblazione dinanzi a Dio.

E tutto ciò che fanno gli Israeliti sulla terra si compie seguendo i tipi di quanto avviene nel mondo celeste.

Il Grande Pontefice quaggiù simboleggia Mikael, principe della Clemenza...

In tutti i passi in cui la Scrittura parla dell’apparizione di Mikael, si tratta della gloria della Shekinah»[15].


Ciò che qui è detto degli Israeliti può essere detto parimenti di tutti i popoli che possiedono una tradizione veramente ortodossa; a maggior ragione deve essere detto dei rappresentanti della tradizione primordiale da cui tutte le altre derivano e alla quale tutte sono subordinate; e questo è in rapporto con il simbolismo della «Terra Santa», immagine del mondo celeste al quale abbiamo già fatto allusione.

D’altra parte, è stato detto, Metatron non ha solo l’aspetto della Clemenza, ma anche quello della Giustizia, non è solo il «Grande Sacerdote» (Kohen ha-gadol) ma anche il «Grande Principe» (Sâr ha-gadol) e il «capo delle milizie celesti», come dire che in lui è il principio del potere regale e insieme del potere sacerdotale o pontificale al quale corrisponde propriamente la funzione di «mediatore».


Bisogna notare, del resto, che Melek, «re», e Maleak, «angelo» oppure «inviato», non sono, in realtà, che due forme di un’unica parola; inoltre, Malaki, «il mio inviato» (cioè l’inviato di Dio, o «l’angelo nel quale è Dio», Maleak ha-Elohim), è l’anagramma di Mikael[16].

È opportuno aggiungere che se, come abbiamo visto, Mikael si identifica con Metatron, ne rappresenta però soltanto un aspetto; accanto alla faccia luminosa, ve ne è una oscura, rappresentata da Samael, chiamato anch’esso Sâr ha-ôlam; torniamo qui al punto di partenza delle nostre considerazioni.


Di fatto, soltanto quest’ultimo aspetto rappresenta «il genio di questo mondo» in un senso inferiore, il Princeps hujus mundi di cui parla il Vangelo; e i suoi rapporti con Metatron, del quale è l’ombra, giustificano l’uso di una medesima designazione in un doppio senso, e al tempo stesso fanno intendere perché il numero apocalittico 666, il «numero della Bestia», è anche un numero solare[17].

Del resto, secondo sant’Ippolito[18], «il Messia e l’Anticristo hanno entrambi per emblema il leone», che è un altro simbolo solare; si potrebbe fare la stessa osservazione per il serpente[19] e per molti altri simboli.


Dal punto di vista cabbalistico, si tratta in questo caso ancora una volta delle due facce opposte di Metatron; non ci dilungheremo qui sulle teorie che si potrebbero formulare in generale su tale doppio senso dei simboli, ma diremo soltanto che la confusione fra l’aspetto luminoso e l’aspetto tenebroso costituisce propriamente il «satanismo»; e appunto in tale confusione cadono, involontariamente e certo per ignoranza (il che è una scusa ma non una giustificazione), coloro che credono di scoprire un significato infernale nella designazione di «Re del Mondo»[20].

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Note


[1] Vi è per altro una grande differenza di significato fra «il Mondo» e «questo mondo», a tal punto che, in certe lingue, esistono, per designarli, due termini affatto distinti: «il Mondo» è el-âlam, mentre «questo mondo» è ed-dunyâ.  [
2] Del resto nel Vangelo si dichiara molto esplicitamente che la pace di cui si tratta non è intesa nel senso del mondo profano (Giov., XIV, 27).
[3] La Kabbale juive, I, p. 503.
[4] Ib., pp. 506-507.
[5] Un simbolismo molto simile è espresso dalla figura medioevale dell’«albero dei vivi e dei morti», che ha inoltre un rapporto molto chiaro con l’idea di «posterità spirituale»; va osservato che l’albero sephirotico viene talora identificato con l’«Albero della Vita».
[6] Secondo il Talmud, Dio ha due seggi, quello della Giustizia e quello della Misericordia; tali seggi corrispondono anche al «Trono» e al «Seggio» della tradizione islamica. Quest’ultima divide i nomi divini, çifâtiyah, cioè quelli che esprimono gli attributi propriamente detti di Allah, in «nomi di maestà» (jalâliyah) e «nomi di bellezza» (jamâliyah), il che corrisponde a una distinzione del medesimo ordine.
[7] La Kabbale juive, I, p. 507.
[8] Secondo sant’Agostino e altri Padri della Chiesa, la mano destra rappresenta parimenti la Misericordia oppure la Bontà, mentre la mano sinistra, soprattutto in Dio, è il simbolo della Giustizia. La «mano di giustizia» è uno degli attributi comuni della regalità; la «mano benedicente» è un segno dell’autorità sacerdotale, e talvolta è stata presa come simbolo del Cristo. ‑ La figura della «mano benedicente» si trova su certe monete galliche, come pure lo swastika, talvolta a bracci ricurvi.
[9] Questo centro, o qualunque altro costruito a sua immagine, può essere descritto simbolicamente come un tempio (aspetto sacerdotale, corrispondente alla Pace) e come un palazzo o un tribunale (aspetto regale, corrispondente alla Giustizia).
[10] Si tratta delle due metà del ciclo zodiacale, che si trova frequentemente rappresentato sul portale delle chiese del medioevo con una disposizione che gli conferisce manifestamente il medesimo significato.
[11] Tutti i simboli che enumeriamo qui richiederebbero una lunga spiegazione; la daremo forse un giorno in un altro studio.
[12] La Kabbale juive, I, pp. 479-498.
[13] Il numero di ciascuno di questi due nomi, ottenuto mediante l’addizione dei valori delle lettere ebraiche di cui è formato, è 314.
[14] La Kabbale juive, I, pp. 492 e 499.
[15] Ib., pp. 500-501.
[16] Quest’ultima osservazione ricorda naturalmente queste parole: «Benedictus qui venit in nomine Domini»; esse sono dette dal Cristo, che il Pastore di Hermas assimila appunto a Mikael in un modo che può apparire piuttosto strano, ma che non deve meravigliare coloro che capiscono il rapporto che esiste fra il Messia e la Shekinah. Il Cristo è anche chiamato «Principe della Pace» ed è al tempo stesso il «Giudice dei vivi e dei morti».
[17] Questo numero è formato per esempio dal nome di Sorath, demone del Sole, e opposto come tale all’angelo Mikael; lo incontreremo più avanti con un altro significato.
[18] Citato da Vulliaud, La Kabbale juive, II, p. 373.
[19] I due aspetti opposti sono raffigurati, per esempio, dai due serpenti del caduceo; nell’iconografia cristiana sono riuniti nell’«anfisbena», il serpente a due teste, delle quali una rappresenta Cristo e l’altra Satana.
[20] Segnaliamo poi che il «Globo del Mondo», insegna del potere imperiale o della monarchia universale, viene spesso posto nella mano di Cristo, il che dimostra per altro che esso è l’emblema dell’autorità spirituale oltre che del potere temporale.

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MICHELE P.